In occasione del centocinquantenario della nascita di Arnold Schönberg il festival Ex Novo Musica, in collaborazione con l’Ateneo Veneto e il Conservatorio ‘Benedetto Marcello’ di Venezia, presenta un ciclo di incontri, lezioni e concerti aperti non solo agli studenti di musica, ma a tutto il pubblico e dedicati alla comprensione di cosa sia la Dodecafonia. Curiosamente, a cento anni dalla sua messa a punto, ‘dodecafonia’ è, per i più, ancora una parola abbastanza misteriosa, capace di indurre una sorprendente gamma di reazioni, dal più deferente rispetto al più diffidente sospetto.
Eppure nelle altre arti non è così: la Citroën ha per esempio battezzato uno dei suoi modelli: “Picasso”, per indurre negli acquirenti l’idea di originalità, crea- tività, unicità… E non solo: benché molti elementi della musica d’avan- guardia siano da decenni stati ripresi dal jazz e perfino dalla musica di consumo, le opere dodecafoniche risultano tuttora di difficile ascolto. Eppure, senza la svolta, e le geniali soluzioni proposte da Schönberg, che hanno sciolto un’impasse in cui si trovava il mondo dei suoni, buona parte della musica del Novecento non sarebbe stata la stessa o, forse, non sarebbe neppure esistita.
Il Novecento è stato senz’altro un secolo ricchissimo di talenti: personalità estrema- mente differenziate, generatrici di linguaggi diversi. Ma la dodecafonia non è uno stile, è un metodo, e “democratico”, che non sottopone più le note alla gerarchia di una tonalità base, ma le libera ponendole in relazione l’una con l’altra. O con le altre all’interno di una sequenza di partenza autonomamente scelta dal compositore e denominata ‘serie’. Ma questa “liberazione” non è ancora tutto, perché non solo la tecnica seriale è insieme rigorosa e capace di evolversi, ma ricupera prassi anti- che, come il contrappunto per esempio, realizzando una sintesi di secoli di musica che non ha precedenti.
Si è sentito, soprattutto in passato, confrontare Schönberg con compositori di più immediato impatto. Ma basta pensare al dramma mozzafiato de Un sopravvissuto di Varsavia, che concentra una tragedia in 6 minuti. O ricordare i giovanili, abbaglianti Gurrelieder per capire che cosa sapeva fare e quale tipo di successo avrebbe potuto avere, se avesse voluto.
Schönberg rinuncia a tutto questo e, con un senso della missione dell’artista nel mondo che forse non ha pari, chiede all’ascoltatore non solo di sentire, ma di ascoltare, e con attenzione, così da sentirsi più liberi e più ricchi all’uscita dal concerto. Schönberg rimane.
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