A un secolo dalla morte di Ferruccio Busoni, questo concerto vuole rendergli omaggio, con tre brani appartenenti ad altrettante fasi del suo percorso compositivo: il Solo Dramatique – scritto a tredici anni per il padre clarinettista – Kultaselle, opera matura, brillante e virtuosistica e l’Elegia, che presenta il linguaggio armonico più evoluto della sua ultima fase creativa. Vuole rendere omaggio alla figura di guida intellettuale che lo vide impegnato nella crescita di molti compositori del suo tempo, da Kurt Weill a Philipp Jarnach, da Stefan Wolpe a Wladimir Vogel, a Edgard Varèse.
Edgard Varèse volle conoscere Busoni dopo aver letto l’Abbozzo di una nuova estetica della musica (1907, rev. 1910) e aver apprezzato il suo smisurato slancio verso il nuovo e la sua visionaria idea di musica come patrimonio universale: «Tutte, tutte le melodie dapprima udite e inaudite risuonano senza eccezione e ad un tempo, vi trasportano, impendono su di voi, vi sfiorano […],
La casa di Busoni a Berlino era il centro di un'élite internazionale, il luogo di incontro delle migliori menti attratte dal genio, dal fascino personale e dall’ampiezza intellettuale del padrone di casa. Philipp Jarnach e Wladimir Vogel, sono stati allievi di Busoni, molto presenti negli ultimi mesi di vita del Maestro e Jarnach siassunse il compito di completare la partitura del Doktor Faust opera-testimonianza del suo credo estetico. Busoni ammette di aver operato, gli ultimi dieci anni di vita, per produrre questa sola opera e che tutto il resto sia «studio, argomento, materiale per quell’opera principale che tutto deve racchiudere».
Stefan Wolpe costituisce un testimone d’eccezione che aiuta a comprendere la vasta ricezione del pensiero di Busoni nel nuovo continente. Busoni risiedette negli Stati Uniti, tra il settembre 1891 e l’aprile 1894 (insegnamenti a Boston e New York) ed altri diciotto mesi ripartiti in quattro tournées concertistiche (1904-10-11-15). Come afferma Giovanni Guanti, «dopo un primo incontro favorevole con il Paese, [Busoni] divenne assai critico nel confronti dell’american way of life, tanto da augurarsi di non dover mai più rimettere piede in quella che, riprendendo una caustica espressione di Heine, amava definire “la grande stalla della libertà, abitata dai villani dell’uguaglianza”». Eppure furono «proprio i musicisti americani (e Busoni sarebbe stato, forse il primo a meravigliarsene) i più attenti e fattivi proseliti del radicalismo utopico della sua nuova estetica della musica.» [Aldo Orvieto]
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