L’immaginario egizio ha spesso affascinato i compositori in maniera complessa e sofisticata. In ambito puramente strumentale e cameristico le maggiori suggestioni si sono materializzate nella sonorità degli strumenti a tastiera, dal clavicembalo al pianoforte. Non si tratta in nessun caso di ricerche antropologiche su materiale autentico, anche in virtù delle deboli conoscenze in merito a scrittura e prassi della musica eseguita al tempo dei faraoni. Eppure, l’idea dell’antico Egitto, nelle sue forme più stratificate, è riuscita a filtrare nella cultura di varie epoche, adattandosi al pensiero estetico di specifiche esperienze artistiche. In ambito francese la ricerca sull’esotismo dei compositori settecenteschi vede protagonista in primis Jean-Philippe Rameau, autore di varie opere ambientate in aree geografiche ammantate da mito e leggenda. La sua opéra-ballet intitolata Les dieux d’Egypte è emblematica di questo interesse, che confluisce anche in un brano clavicembalistico intitolato L’Egyptienne (1728), esemplare manifestazione di uno sguardo fortemente intriso di aristocrazia borbonica su una cultura remota: osservata con lo stesso distacco attribuito da Luigi XIV alle tante forme di esotismo che impreziosivano l’immaginazione della corte.
Rameau, con i suoi viaggi fantasiosi attraverso il tempo e lo spazio, fu proprio un modello stimolante per la creatività di Claude Debussy. L’Hommage à Rameau (1905) è il trait d’union esplicito di quest’eredità artistica, che prende forma anche in una visionaria allusione dell’antico, ricca di riferimenti a una nozione di Egitto sempre al confine tra la rappresentazione di un sapere indubbiamente presente nella Parigi di inizio secolo e un poetico abbandono agli stereotipi di un passato totalmente inventato. Le Six Épigraphes antiques (1914) sono la dichiarazione poetica di questa ricerca pianistica, che cerca un contatto con l’Egitto grazie ad alcune immagini ricorrenti: in particolare il simbolismo degli strumenti a fiato trascritto sullo strumento a tastiera di À l’Egyptienne e il culto dei morti nei fraseggi rituali di Pour un tombeau sans nom.
La Parigi di quegli anni era anche il terreno di circoli esoterici che molto spesso sfruttavano alcuni principi teologici dell’antico Egitto per codificare una spiritualità alternativa a quella cattolica. È il caso dell’Ordine dei Rosa-Croce, come dimostrato dal dramma dell’adepto Jules Bois, intitolato La Porte héroïque du ciel, che racconta la crociata di un poeta-missionario volta a sostituire il culto di Maria con quello di Iside. Il compositore Erik Satie, spesso affascinato da tematiche di ordine mistico, scrisse un Prélude a questo lavoro (1892), che ricorre a una scrittura priva di tempo e di tonalità proprio per alludere a una rifondazione di codici estetici e insieme mistici.
Il repertorio pianistico di area tedesca è meno ricco di riferimenti così espliciti alla cultura egizia. Ma c’è una stagione dell’Ottocento, alla quale Robert Schumann appartiene in massima parte, che ha tratto ispirazione dalla natura criptica dei geroglifici per lavorare sulla trasmissione musicale di messaggi nascosti, rintracciabili in maniera esplicita all’analisi della partitura. È il caso del Carnaval (1835), che racconta una festa in maschera fatta di miniature estremamente visive, tutte generate da quattro criptogrammi definiti dallo stesso compositore “Sfingi”. Si tratta di piccoli mattoncini melodici, dal sapore profondamente arcaico, che costruiscono
l’intero edificio, alludendo nello stesso tempo ai codici misteriosi di una scrittura remota, nonché alla staticità fascinosa dei grandi monumenti egizi.
Il programma propone una panoramica attraverso questo repertorio pianistico, presentando al pubblico della De Sono e della città due giovani pianisti sostenuti con una borsa di studio per corsi di alto perfezionamento. La loro esecuzione nella seconda parte sarà accompagnata da una coreografia, curata da Giada Feraudo, ispirata al tema della danza nell’iconografia del Museo Egizio. Proiezioni di immagini e light design, studiati in collaborazione con i curatori stessi del Museo, completano la teatralizzazione dell’evento.
[Andrea Malvano]
Musiche di M. Ravel, G. Fauré
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