I compositori come Schoenberg e Stravinskij, lo sappiamo da lettere e testimonianze, esigevano che le loro opere teatrali fossero tradotte nella lingua degli ascoltatori, pensando che la comprensione delle parole fosse importante quanto le note. Il Pierrot Lunaire, scritto per un’attrice di cabaret berlinese, come tutti sanno, ha l’intenzione evidente di divertire il pubblico con i suoi versi bizzarri e grotteschi. Nella partitura sono riportate le indicazioni precise di Schoenberg per l’interpretazione, che “in ogni caso non deve mai ricordare il canto” né “il parlato realistico e naturalistico”, ma integrarsi con la musica strumentale. La traduzione ritmica in italiano è un compito arduo, ma ho cercato di seguire queste indicazioni non alterando in alcun modo il ritmo, e conciliando la comprensibilità con la ricercatezza delle immagini simboliste dell’originale, per trasmettere quell’ironia sottile del Pierrot che va perduta per l’ascoltatore italiano, se recitato in tedesco. Le ventuno poesie, diverse ognuna per carattere e spirito, diventano così altrettanti spunti per quadretti teatrali, da realizzare in parallelo anche visivamente, nello spirito di un moderno cabaret. Si può immaginare che l’idea del Pierrot affidato a un’attrice e non a una cantante nasca proprio dall’esigenza di AS di trasmettere un testo interamente comprensibile, come a teatro e come invece non succede spesso in un’opera lirica, dove i cantanti al di fuori dei recitativi tendono a storpiare le parole secondo le esigenze delle loro preziosissime ugole.
Ho diretto più volte il Pierrot Lunaire, e la prima volta a Milano ai Pomeriggi Musicali con Cathy Berberian nel 1970, fu in una traduzione inglese! Cathy sosteneva che quella traduzione fosse di Schönberg stesso, fatta per la prima in California, durante l’esilio americano. Un’altra volta l’ho diretto in italiano nella traduzione di Lele d’Amico e altri, che però non mi sembrò mai convincente. Le lunghe sere passate a casa durante il periodo del Covid mi hanno fatto venire di una nuova traduzione che tenesse conto dello spirito grottesco dell’originale, a sua volta una traduzione del francese. Sappiamo da Milhaud, direttore della prima in francese a Parigi dopo la Grande guerra, che In casa di Alma Mahler nel 1922 si tenne un confronto tra la versione francese diretta da Milhaud con Marya Freund e quella tedesca diretta da Schönberg con Erika Wagner e lo stesso Steuermann al pianoforte con dibattito a seguire tra loro. Serata memorabile!
Marcello Panni
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