Trasfigurazione e spazializzazione acustica. Sul piano linguistico Verklärte Nacht di Arnold Schoenberg e Fragmente – Stille, An Diotima di Luigi Nono apparentemente non hanno nulla in comune. Verklärte Nacht è il primo lavoro di grande impegno di uno Schoenberg venticinquenne, mentre il Nono di Fragmente Stille è già un compositore della maturità. E se il sestetto di Schoenberg nasce nel contesto delle ampie costruzioni sonore del poema sinfonico tardo romantico (pur trasfigurandole formalmente), nel quartetto di Nono c’è un rapporto intenso con il silenzio e con il suono che nasce e scompare nel silenzio. Ma nonostante gli 80 anni di distanza e la lontananza stilistica tra le loro scritture musicali, questi due capolavori per archi, rappresentano due modi insolitamente analoghi di concepire il rapporto con un testo, in una musica puramente strumentale e soprattutto in una musica cameristica, cioè in un rapporto più intimo con l’ascolto.
È curioso notare come per entrambi i compositori la presenza dei testi a cui si sono ispirati (quelli del simbolista Richard Dehmel e i frammenti di Hölderlin) non dovessero per nulla condizionare la comprensione del contenuto della partitura e come questa dovesse invece essere apprezzata come “musica pura”. Sia per la prima esecuzione di Verklärte Nacht, che ebbe luogo a Vienna il 18 marzo del 1902 nella Sala piccola del Musikverein, che per quella di Fragmente Stille del 2 giugno 1980 a Bonn per il Beethovenfest, il testo di Dehmel e le citazioni da Hölderlin erano presenti nei programmi di sala. Ma se più tardi, nel 1950, Schoenberg commentò a proposito del testo del sestetto «…non illustra alcuna azione o dramma, ma si limitava a ritrarre la natura ed esprimere i sentimenti dell’essere umano», ugualmente nella partitura del quartetto di Nono viene indicato: «…i frammenti, tutti da poesie di Hölderlin / in nessun caso da esser detti durante l’esecuzione / in nessun caso indicazione naturalistica programmatica per l’esecuzione ma molteplici attimi pensieri silenzi “canti” di altri spazi di altri cieli per riscoprire altrimenti il possibile non “dire addio alla speranza”».
Dunque sia per Schoenberg che per Nono non ci sono programmi, non ci sono relazioni tangibili testo-musica e la musica non ha bisogno del testo per essere compresa perché da sola è capace di trasfigurare. Trasfigurazione è dunque l’elemento che intreccia i due lavori: dalla libertà armonica allora inaudita di Verklärte Nacht fino a giungere a quella indagine profonda sulla trasformazione del suono e sulla proiezione nello spazio del quartetto di Nono.
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