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Stefano Maiorana
Ex Novo Ensemble

Malipiero e i testi antichi

Venezia
Teatro La Fenice [Mappa]
sabato 11 novembre 2023
ore 20:00

Programma

Giovanni Girolamo Kapsberger
Senza titolo per tiorba (prima esecuzione in tempi moderni)
Claudio Ambrosini
Tastata per tiorba (prima esecuzione assoluta)
Giovanni Girolamo Kapsberger
Toccata I per tiorba (prima esecuzione in tempi moderni)
Claudio Ambrosini
Toccata per tiorba (prima esecuzione assoluta)
Antonio Vivaldi
Concerto da Camera in Re maggiore, RV 94
Antonio Vivaldi
Concerto da Camera in Sol minore, RV 107
Gian Francesco Malipiero
Sonata a quattro
Antonio Vivaldi
Concerto da Camera in Re maggiore, RV 90

Artisti

Rassegna

Ex Novo Musica 2023

Informazioni

Malipiero e la Biblioteca Marciana di Venezia.
«Spesso penso con terrore a quello che sarebbe accaduto a me, se, senza rendermene conto, cioè guidato solo dalla mia intuizione, non avessi tempestivamente preso decisioni che mi hanno poi condotto là dove dovevo arrivare, ed evitato di precipitare nel baratro dell’esperienza dei miei familiari, o dei saggi consiglieri. Come, dal 1902 in poi, io mi sia recato quotidianamente alla Biblioteca Marciana di Venezia per studiare gli antichi quasi completamente ignorati dai miei insegnanti e dai miei condiscepoli, io non lo so».

Malipiero e Vivaldi.
«Lo vediamo, l’orecchio appoggiato alla cassa armonica del violino, gli occhi chiusi, ad ascoltare le proprie improvvisazioni. Come una sorgente in alta montagna egli non inaridì mai, La sua musica è a getto continuo e se ha scritto per vari strumenti solisti (oboe, fagotto, violoncello, ecc. ecc.), è il violino che domina, cioè Vivaldi stesso trasformato in musica.» «Un musicista che interpreta Vivaldi deve essergli legato spiritualmente, comprendere la sua musica e per pubblicarla non occorre il medico chirurgo, basta l’umile copista, fedele, attento, diligente. […] Non si può analizzare Vivaldi, non si deve rompere l’incanto abbandonandosi a una inopportuna e sterile rettorica. Trattenere il respiro, ascoltare religiosamente si deve, e infine ringraziare le dame pietose che l’hanno aiutato, non vogliamo sapere come, a creare tanti capolavori» [G. F. Malipiero, Il filo di Arianna, 1966, p. 121]

Malipiero e la musicologia del suo tempo.
«Nell’arte musicale s’incoraggia e si premia solo il malinteso. Guai se si scoprisse che da quattro secoli la scrittura musicale è precisa, chiara, raramente scorretta e che la musicologia è stata inventata per intricare la matassa» Le citazioni si trovano in: Ricordi e Pensieri Musica e Musicisti, in A.A. V.V. L'opera di Gian Francesco Malipiero, 1952, pp.53, 333, 334.

Preludio: la presente impaginazione concertistica propone, usando ripetutamente la tecnica del flashback, tre Concerti da camera di Antonio Vivaldi alternati a Epodi e giambi e Sonata a quattro, opere che, fin dal titolo, evidenziano l’amore di Gian Francesco Malipiero per il mondo antico. Il breve preludio alla serata allarga ancora gli orizzonti: non solo qui entra in scena un autentico strumento antico (la tiorba) ma vengono presentate due recenti opere di Claudio Ambrosini in prima esecuzione assoluta. Non solo Vivaldi e Malipiero, ma anche Kapsberger e Ambrosini vissero e vivono, fisicamente e tramite la loro musica, a Venezia!

Johannes Hieronymus Kapsberger è un personaggio tanto misterioso quanto dotato e esuberante. Chiamato anche ‘il Tedesco della tiorba’ (suo padre pare fosse un ufficiale tedesco), è considerato uno dei principali compositori per tiorba e uno sperimentatore senza pari. Le opere di Kapsberger che ascolteremo questa sera vedono entrambe la loro prima esecuzione ‘in tempi moderni’: il manoscritto della prima (Senza titolo) è conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma, nei fondi Barberini; quello della seconda (Toccata I) presso l’Archivio di Stato di Modena, nei fondi degli Estensi. Come scrive come Sylvie Mamy, nella presentazione di un recente disco dedicato a questo progetto, «Claudio Ambrosini immagina di aver scoperto un quaderno manoscritto contenente alcuni brani di Kapsberger, che quest'ultimo non avrebbe divulgato da vivo giudicandoli troppo avanzati per la sua epoca.» Ambrosini gioca dunque a essere Kapsberger sia nell’ utilizzare la tiorba che nei titoli arcaicizzanti (Tastata, Toccata). L’immaginario amoreggia con la realtà, il presente con il passato.

Antonio Vivaldi Concerti RV 90, RV 94 'Del Gardellino', RV 107. Nel 1720, durante il suo ultimo soggiorno a Mantova Vivaldi si guadagnò il ruolo di «Maestro di Musica da Camera del Langravio Philipp de Hesse-Darmstadt»: aveva finalmente trovato la protezione aristocratica che gli mancava. Come a tutti i compositori della sua epoca la vita della corte gli imponeva di servire i mecenati e dunque di comporre opere convenienti a diverse circostanze: balli, riunioni di amici, avvenimenti politici, ricevimenti importanti. Non si deve pensare che tali forme occasionali costituissero episodi minori o ‘di routine’, potevano anzi rivelarsi momenti di sperimentazione personale, e dunque presentare significative innovazioni stilistiche. È possibile che proprio a Mantova Vivaldi abbia sperimentato una nuova forma di concerto: il concerto da camera. Non sono opere destinate alla pubblicazione, ma brani scritti per ensemble ben definiti, come la cappella musicale di Mantova, o le putte della Pietà, o ancora i musicisti della cappella sassone. Il fatto che queste composizioni cameristiche, mai pubblicate quando Vivaldi era in vita, siano giunte fino a Dresda e a Parigi, rende probabile che si trattasse di opere molto note nelle corti europee. L’organico strumentale è composto da un flauto (dritto o traversiere), un oboe, un violino, un basso e il continuo. Il traversiere entrò probabilmente in uso a Venezia attraverso gli ambienti germanici, dove era molto diffuso, come appunto la corte di Mantova, allora posta sotto la protezione degli Asburgo e governata da un langravio tedesco. Sono una ventina i concerti conosciuti che possono essere posti nella categoria concerto da camera, per la maggior parte conservati nel fondo Giordano a Torino, in forma autografa. Secondo Michael Talbot «non vi sono altri esempi del genere in Italia». In un concerto da camera tutte le parti sono obbligate e suonano all’unisono solo per produrre un particolare effetto timbrico. Non è sempre semplice distinguere un concerto da camera da altri tipi di musica da camera: il Trio RV84 ad esempio viene citato da alcuni autori come un concerto e da altri come una sonata, dato che il manoscritto originale è privo di indicazioni. Di fatto – come anche nella produzione coeva di Bach – intorno al 1730 la scrittura che si ispirava alla forma del concerto stava trovando la sua strada in molti distinti generi strumentali, dalle invenzioni a due parti fino a fughe corali e strumentali. Unendo le esperienze del concerto solistico e del concerto grosso Vivaldi affronta la problematica dell’abolizione del solista nel Concerto ripieno, rinunciando dunque ad un elemento essenziale della forma: l’utilizzo di una strumentazione che ponga in contrasto diversi volumi sonori per caratterizzare l’alternanza fra il Solo e il Tutti. Lo schema è quello della forma-ritornello, dove i ritornelli sono quasi sempre eseguiti da tutti gli strumenti mentre nei Solo emergono strumenti singoli. Talvolta i ritornelli sono strutturati come nelle Sonate a tre: in tal modo le opere appartenenti a questo gruppo risultano forme ibride fra la musica orchestrale e quella da camera, pur essendo il più delle volte titolate ‘Concerto’. Secondo Walter Kolneder troviamo sostanzialmente tre tipologie di concerti da camera: un primo modello (ad esempio il Concerto RV92) contrappone un ritornello (generalmente esposto per intero all’inizio, poi abbreviato) ad assoli dei diversi strumenti solisti, mantenendo la dialettica solo-tutti. Si può delineare un secondo modello (ad esempio il Concerto RV103) dove un solo strumento (quasi sempre il traversiere) acquisisce un ruolo solistico predominante. In un terzo modello (ad esempio nel Concerto RV105) il ritornello diventa un elemento formale di notevole importanza nel quale i singoli episodi sono già affidati ai solisti o a coppie di strumenti associati timbricamente. L’elemento concertante è dunque entrato nel ritornello, dandogli luce con la diversità dei timbri ma, in sostanza, anche dissolvendolo. La brevità delle proposizioni musicali alternativamente affidate ai vari gruppi solistici rende questa forma assai simile a un concerto grosso. Anche se i movimenti veloci dei concerti da camera di Vivaldi fanno tutti uso della struttura a ritornello, il materiale melodico viene ripetuto in forma selettiva, in alcuni casi presentandolo nella sua forma completa solo all’inizio del movimento. Per superare semanticamente l’alternanza fra solisti e orchestra nell’esprimere la distinzione fra solo e tutti Vivaldi iniziò a sostituire la ripetizione del da capo della prima sezione dell’aria con una sezione che ritorna alla tonalità d’impianto, composta espressamente. Alcuni concerti da camera presentano infatti cambiamenti di strumentazione nei dintorni dei ritornelli e degli episodi solistici, traslando il necessario momento di contrasto fra questi elementi sul piano delle caratteristiche melodiche e armoniche: i temi dei ritornelli, energici e fortemente caratterizzati diventano dunque punti di riposo armonico, mentre i soli, spesso virtuosistici, basati su sequenze modulanti, consentono frequenti cambi tonali. La notevole variabilità formale espressa nel corpus dei concerti da camera, dimostra con quanto impegno Vivaldi affrontasse i problemi e le possibilità strutturali del Concerto per solisti senza orchestra. Organici così intimi suggerivano talvolta al compositore tempi centrali assai brevi ma molto intensi ed espressivi, tipicamente presenti nelle Sonata a tre, spesso affidati ad un solo strumento solista. In simili casi Vivaldi si volgeva evidentemente a ricordare la propria produzione sonatistica degli anni giovanili. Secondo Talbot: «le qualità che maggiormente possiamo ammirare nei concerti da camera «sono le raffinatezze timbriche e l’intuizione del linguaggio naturale di ciascuno strumento. Sono più prossimi alla moderna ispirazione della musica da camera di qualunque altra composizione vivaldiana.» Quanto Vivaldi tenesse a queste forme di concerto che potremmo definire ‘ibride’ o ‘sperimentali’ è testimoniato dal fatto che sia il Concerto RV9 ‘Del Gardellino’ che il Concerto RV101, furono poi riadattati nella formula del concerto solistico ed entrarono a far parte dello op. 10 «VI Concerti a flauto traverso» pubblicati ad Amsterdam dall’editore Le Cène, nel 1729. Un altro rilievo importante riguarda l’adagio del Concerto RV 94, che risulta essere una versione abbreviata dell’Adagio del Concerto RV297 ‘L’inverno’ pubblicato anch’esso ad Amsterdam nel contesto dell’op. 8 «Il cimento dell’armonia e dell’invenzione» nel 1725.

I Concerti di Antonio Vivaldi che ascolteremo questa sera sono stati per la prima volta pubblicati nel periodo 1949/1952 a cura di Gian Francesco Malipiero per Casa Ricordi.

Gian Francesco Malipiero Epodi e giambi. Il brano fu scritto ad Asolo e terminato di comporre il 5 giugno 1932, la dedica è «a Mrs. Elizabeth S. Coolidge» (1864- 1953), una delle più importanti mecenati del suo tempo. Nel Catalogo annotato redatto da Malipiero si legge: «Due strumenti a fiato e due ad arco. Non è un problema però, come non lo è nella Sonata a cinque in cui contro tre archi ci sono un flauto e l’arpa. La forma si avvicina a quella dei quartetti, ma la varietà degli strumenti cambia il colore, anzi i colori, occultando tutte le analogie con le altre mie opere da camera.» L’organico strumentale, unendo il colore di due strumenti ad ancia doppia a quello di due archi di tessitura medio-acuta favorisce il dialogare paritetico delle voci. Ogni linea esibisce un preciso carattere melodico: asciutto e angoloso nei tratti veloci che testimoniano irrequietezza e slancio ritmico pressante e vigoroso; nudo e scarno dei momenti lenti, non di rado melanconici o sofferenti, che spesso trasmettono quel tratto di orgogliosa solitudine che è tipico del sentire malipieriano. Nel fluire del discorso musicale è impossibile rintracciare alcun organismo armonico o timbrico formalmente predeterminato; tutto pare avvenire nel rispetto del fluire dei ‘canti’, nel loro naturale dialogare, quasi Malipiero desiderasse gelosamente preservarne l’andamento autentico e spontaneo. Molto si è scritto sull’ascendenza di questi canti: sulla loro origine gregoriana, sull’insistente oscillare fra maggiore e minore, sulla loro fisionomia ‘declamatoria’, mettendo in luce come in Malipiero l’eloquio dello strumento aspiri alla potenza espressiva del dramma intonato dalla parola. Canti che – come suggerisce il titolo – cercano il colloquio, la fraternità con gli antichi maestri, senza per questo rinunciare ad una espressività autenticamente moderna.

Gian Francesco Malipiero Sonata a quattro. In merito alle Fantasie di ogni giorno, opera per orchestra coeva alla Sonata a quattro, John Waterhouse scrive che «nacquero davvero “sul fiume del tempo”, come risultato del canto spontaneo di un autoriconosciuto “grillo canterino” per cui il comporre era una necessità biologica giornaliera che non richiedeva giustificazioni esterne». Osservazione importante che segnala la raison d’être di molta musica composta nel corso degli ultimi vent’anni della vita del compositore veneziano. La Sonata a quattro si articola in una serie di episodi che si susseguono senza soluzione di continuità. Le prime 66 battute tuttavia, essendo differenziate tematicamente e nel tempo, possono essere considerate una sorta di ‘primo movimento’ che Waterhouse considera «decisamente superiore alle altre sezioni» per l’incisività dei motivi, variati incessantemente e con sapienza; per la vivacità dei contrasti timbrici; per le pregevoli ‘distorsioni’ cromatiche che ampliano le prospettive del diatonismo. Nel prosieguo del brano il tema iniziale di tale ipotetico ‘primo movimento’ riappare spesso, giustapponendosi ad altri spunti melodici quasi mettendo in atto lo schema del rondò. Il brano ben sfrutta i caratteri proprî di ogni strumento, spesso contrapponendoli tra loro con gusto raffinato, con gestualità eloquente; mettendo in atto quel «conversare» che costituisce la più importante caratteristica estetica del mondo sonoro malipieriano. Secondo János Maróthy (Malipiero e gli aspetti della sua contemporaneità, in Quaderni di Musica/Realtà 3, 1982) «Quando ascoltai la Sonata a quattro di Malipiero fui doppiamente sorpreso. In primo luogo, in quanto quest’opera era ricca di cambiamenti improvvisi e apparentemente rapsodici, sia orizzontalmente che verticalmente. Informale quanto poteva esserlo. In secondo luogo e esattamente al contrario, fui sorpreso di quanto fosse sistematicamente composta, dalle più piccole fino alle più grandi unità.»

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