Sergej Prokof'ev Sonata in re maggiore op. 115. La Sonata per violino solo op. 115 fu scritta da Sergej Prokof'ev nel 1947; l’indicazione di organico è per violino solo o per violini all’unisono. Non solo quindi è una delle poche sonate per violino non accompagnato del repertorio russo, ma è anche l’unico esempio di sonata scritta con più possibilità di esecuzione, solistica o all’unisono. Inoltre è una tipica composizione ‘di stato’, essendo stata esplicitamente concepita per degli ensemble di violinisti sovietici che si esibivano a quel tempo suonando all’unisono opere di Bach, Haendel e altri autori. Le informazioni sulla genesi dell’opera sono scarse, anche perché, dopo la morte del compositore, molti documenti e lettere rimasero in possesso dello stato russo. Non è nemmeno chiaro perché la sonata non fu mai eseguita mentre l’autore era ancora in vita, ma fu ascoltata dal pubblico la prima volta solo nel 1959 a Mosca, con Ruggiero Ricci al violino. La composizione si articola in tre brevi movimenti e si apre con un robusto Moderato in forma sonata, cui fa seguito un breve e ispirato Andante dolce, formato da una serie di variazioni su un tema in Si bemolle maggiore. Il Finale (Con brio), di forma A-B-A-B, giustappone una prima parte in tempo moderato ad una seconda parte più animata (Allegro precipitato); nella terza e nella quarta parte ritornano, modificati, materiali tematici presentati nelle due sezioni precedenti. Questa sonata rivela l’intensa ricerca di Prokof'ev nel regno della melodia pura, è pervasa da un intenso lirismo che non richiede alcun supporto armonico complesso. La melodia è raramente ornata da voci in contrappunto, da abbellimenti o da accordi pieni, ma il compositore ha arricchito i temi colorandoli con inusitate digressioni tonali e impiegando una scrittura a due voci sapientemente occultate.
Johann Sebastian Bach Sonata BWV 1038. Trattasi di una rielaborazione – alla pari della Sonata BWV 1022 – della Sonata BWV 1021 per violino e basso cifrato scritta a Köthen presumibilmente tra il 1718 il 1722. Tale Sonata fa parte di un gruppo di composizioni per violino con accompagnamento (BWV 1014-1026) tra le quali famose sono le Sei Sonate per violino e cembalo BWV 1014-1019: la Sonata BWV 1021 è sicuramente autentica, alcuni dubbi di autenticità si pongono invece per numerose altre Sonate del gruppo di opere summenzionato. Della Sonata BWV 1038, si conserva un manoscritto autografo composto di tre parti strumentali – Traversa, Violino discordato e Continuo. La composizione è però opera di altri, forse del figlio Carl Philipp Emanuel, la sua datazione è incerta. Diversamente dalla Sonata BWV 1022 per violino e basso cifrato, rielaborata un tono sotto, in fa maggiore, la Sonata BWV 1038 conserva invece la tonalità di sol maggiore dell’originale bachiano: la parte del basso cifrato è mantenuta inalterata ma compare una diversa elaborazione della voce superiore (affidata in questo caso al flauto) e l’inserimento di una terza parte concertante, affidata ad un violino con accordatura anomala. L’articolazione formale è comune al gruppo di Sonate summenzionate: un Largo iniziale, bipartito cui seguono due movimenti veloci (Vivace, Presto), il secondo dei quali in stile fugato, che inquadrano un Adagio fiorito. L’accompagnamento non è concepito nello stile del Trio di tipo concertante adottato nella raccolta delle Sonate per violino BWV 1014-1019; in questo caso le parti melodiche rivestono un ruolo di un assoluto predominio e la linea del basso è subordinata ad esse.
Grazyna Bacewicz Quartetto per quattro violini. Illustre erede di quel gruppo di violinisti-compositori che comprendeva il suo compatriota Henryk Wieniawski e il rumeno George Enescu, Grazyna Bacewicz è stata una bambina prodigio: studiò violino prima con Józef Jarzebski a Varsavia, poi con André Touret e Carl Flesch a Parigi, intraprese una brillante carriera solistica, fu primo violino dell’orchestra della radio polacca verso la fine degli anni Trenta. Per la composizione si formò a Varsavia con Kazimierz Sikorski e Karol Szymanowski il quale le consigliò di perfezionarsi in Francia con Nadia Boulanger. La presa di coscienza che ordine e struttura siano elementi irrinunciabili del comporre la convinsero ad aderire alla tendenza neoclassica sviluppatasi in Francia tra le due guerre. Nella sua musica si possono tuttavia riscontrare molteplici debiti stilistici, dal suo amore per l’intensità espressiva di Szymanowski a quello per l’impronta melodico-ritmica di ascendenza popolare di Bartók. Adrian Thomas evidenzia una propensione per la tecnica del patchwork, che si fa più viva nelle opere della tarda maturità con la sperimentazione di nuovi linguaggi atonali – per esempio la tecnica dodecafonica alla fine degli anni Cinquanta. Il suo percorso artistico fu tuttavia originale: la cifra stilistica della sua musica risiede in un’imprevedibile combinazione di delicatezza e muscolarità, di arguzia e vitalità. Scritto nel 1949, il Quartetto per quattro violini è un pezzo dedicato ai suoi allievi violinisti, nel contesto del suo impegno per arricchire il repertorio degli strumenti ad arco, anche in formazioni ad organico inusuale. L’opera dialoga efficacemente con la dottrina artistica del ‘realismo socialista’, imposta duramente in Polonia nell’immediato dopoguerra, trasfigurando la musica popolare polacca attraverso la lente deformante del Neoclassicismo, al quale la Bacewicz associa un lirismo di esuberante intensità.
Sofija Gubajdulina Quartetto per quattro flauti. Secondo Sofjia Gubajdulina, il suono del flauto è collegato alla femminilità e per questo motivo il Quartetto per flauti è antitetico al Trio per tre trombe. Rifacendosi all’antichissima dottrina orientale del tao, la compositrice riconduce al principio femminile ogni espressione di pienezza, di spiritualità, di irrazionalità. Dal punto di vista compositivo, la sequenza dei cinque movimenti del Quartetto può essere paragonata a una sonata liberamente intesa, avente forma continua e contenuto musicale ricco e multiforme, in cui la I e la II parte rappresentano l’esposizione, la III parte l’elaborazione, la IV parte la ripresa della II e della III parte, mentre la V parte comprende il nuovo sviluppo del materiale elaborato e il finale. […] Il Quartetto per quattro flauti è il prodotto di un organico timbricamente singolare e inconsueto e si dispiega in maniera bizzarra quanto imprevedibile. L’autrice stessa, a proposito della materia musicale, afferma: «La materia musicale ha la sua storia, la sua evoluzione. [...] Non siamo noi a scoprirla; essa è come la terra, è come la natura, è come un bambino: chiede qualcosa, vuole qualcosa e senza questo qualcosa non può vivere» (Sofija Gubajdulina, E questa è felicità, intervista di Julija Makeeva, «Sovetskaja muzyka», 6, 1988, p. 23). In un’opera come il Quartetto per quattro flauti i contrasti, le opposizioni, le energie dinamiche occidentali, accentuate dalla staticità cromatica orientale, si dispiegano spontaneamente, quasi involontariamente, proprio come nel giardino orientale «dei sentieri fuggenti». [Valentina Cholopova, Sofija Gubajdulina. Tra Oriente e Occidente, in AA.VV., Gubajdulina, a cura di Enzo Restagno, Torino, 1991]
Johann Sebastian Bach Sonata da Musikalisches Opfer BWV 1079. Secondo Alberto Basso «il Bach degli ultimi anni è tutto proteso nell’osservazione e nella pratica d’una tecnica musicale arcaica che giunge come una folgore ad illuminare il mondo contemporaneo, ponendolo di fronte ad una materia inusitata e quasi incomprensibile». Lo spirito razionale, sorretto da geniali artifici, utilizzando «i mezzi più disadorni e severi» si impone come elemento regolatore su un mondo musicale che appariva «consumato e svuotato di contenuto e di valore». Le tre ultime grandi opere di Bach, le Variazioni canoniche, l’Offerta musicale e l’Arte della fuga assurgono al simbolo di «comunicazioni scientifiche», dissertazioni, che Bach presentò alla Società Mizler, una congregazione di dotti esperti nella quale era entrato nel giugno del 1747 e che imponeva a tutti i soci di presentare annualmente una comunicazione scientifica; nel suo caso dunque una composizione musicale di alto contenuto teorico- scientifico. I due ultimi numeri dell’Offerta musicale, la Sonata (peroratio in adfectibus) e il Canon perpetuus (peroratio in rebus) costituiscono i poli antagonisti, ma complementari, di tale modus operandi. Entrambi i numeri vedono il flauto traverso protagonista in omaggio a Federico II di Prussia, cui l’opera fu dedicata. La Sonata rappresenta dunque una deviazione dalla condotta della raccolta, in quanto la tecnica contrappuntistica lascia qui libero spazio ad una manifestazione di «puro eloquio musicale» e diventa quasi un segno premonitore di quella nuova «sensibilità» (Empfindsamkeit) che caratterizzerà i tempi nuovi della scuola berlinese, sorta proprio nell’ambiente della corte del sovrano. A causa dell’impiego della tonalità di do minore la Sonata costituisce uno bei brani più difficili da realizzarsi con il flauto traverso a una chiave. Si ipotizza che Federico, per quanto fosse un flautista ben formato e un compositore di talento, non sia stato in grado di suonarla; probabilmente risultava all’altezza solo del suo insegnante di flauto Johann Joachim Quantz.
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