Settimane Barocche di Brescia 2023
Nel processo di formazione dello stile e delle forme del linguaggio musicale del Seicento che, proprio in terra padana e veneta, agli albori del secolo, si andavano definendo, consolidando e diffondendo (si pensi soltanto alla gravosa quanto monumentale eredità monteverdiana), i compositori Costanzo Antegnati (1549-1624), Biagio Marini (1594-1663), Tarquinio Merula (1595-1665) e Giovanni Legrenzi (1626-1690) svolgono un ruolo di primaria importanza. Di sicuro un ruolo da protagonisti, e non da comprimari, come invece certa perdurante indifferenza degli studiosi e degli esecutori nei confronti del loro importante lascito musicale tenderebbe a far credere.
Ma se almeno la produzione strumentale di questi autori è stata in gran parte presa in considerazione, altrettanto non si può dire per le loro opere vocali di genere sacro, che seppur numericamente piú consistenti, non hanno goduto, almeno fino ad oggi, dell’attenzione che avrebbero meritato.
In un’epoca di forti tensioni e di radicali mutamenti, compresa fra gli ultimi lustri del Cinquecento e i primi decenni del secolo XVII, i nostri autori si muovono con idee chiare e precise circa l’indirizzo stilistico da imprimere alla loro arte compositiva. Infatti, la cifra stilistica che caratterizza il loro modus scribendi è riconducibile allo stylus modernus ovvero a uno stile che, partendo dalla lezione monteverdiana della Selva morale e spirituale (1640-41), s’impone per il superamento dei parametri compositivi imperanti, fondati sulla tecnica del contrappunto di palestriniana memoria (prima prattica) in favore di una nuova concezione dell’atto creativo che voleva, al suo centro, l’interpretazione espressiva della parola (seconda prattica), declinata in tutta la sua forza semantica, in tutta la sua valenza emotiva, attraverso l’intima aderenza del suono verbale al suono musicale.
L’impaginazione del programma di questo concerto è stata effettuata con l’intento di riproporre l’esecuzione di una messa solenne cantata, alternando le sette parti dell’Ordinarium Missae (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei) qui rappresentate dalla Messa concertata della raccolta Arpa davidica. Salmi e messa concertati, opera sedicesima (Venezia, 1640) di Tarquinio Merula, con brani organistici di Costanzo Antegnati, dello stesso Merula e vocali di Giovanni Legrenzi, tratti dalle Compiete, opera settima (Venezia, 1662) e di Biagio Marini, tratto dalle Lagrime di Davide sparse nel Miserere, opera ventunesima (Venezia, 1655) per le cinque parti del Proprium.
Come lo era stato per Claudio Monteverdi, cosí anche per Tarquinio Merula, per Biagio Marini e per Giovanni Legrenzi, la parola rappresenta dunque la materia prima con la quale comporre musica.
Rendere il significato della parola servendosi della metafora musicale, ad imitazione del poeta che utilizza la metafora della parola per rappresentare l’impeto delle emozioni, diventa l’impegno costante che guida questi due giganti del Seicento musicale italiano nella realizzazione delle loro opere. Essi sono artefici abilissimi, dotati di grande maestria. La loro scrittura musicale è tesa di continuo a esaltare le funzioni espressive della parola, a evidenziarne le valenze semantiche attraverso l’intima aderenza del suono verbale al suono musicale.
La poesia della loro musica è la poesia del linguaggio parlato condotto a vertici di grande intensità espressiva mediante procedimenti compositivi che, come s’è appena detto, non appartengono soltanto all’arte del comporre musicale ma anche e soprattutto all’arte dell’oratoria e, dunque, della retorica.
Quanto piú osserviamo come questi autori affrontano il rapporto che la parola deve assumere al contatto con il suono, tanto piú ci convinciamo che la loro arte è recitazione pura, declamazione oratoriale perfetta, ricercata, sperimentale, ricca di sofisticate invenzioni, fuori da schemi prevedibili.
I brani scelti a corredo musicale della liturgia della Missa solemnis de Sancta Maria ne sono vivida e persuasiva testimonianza.
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